Fra gli esempi più famosi di Italian Sounding ai danni dei consumatori e della filiera agroalimentare italiana c’è il Parmesan, ma nel mondo sono centinaia i prodotti made in Italy colpiti da tale fenomeno. Si tratta di un mercato parallelo, che colpisce le eccellenze alimentari italiane, specialmente le Indicazioni Geografiche e che negli ultimi 10 anni ha raggiunto un giro d’affari pari a 100 miliardi di euro su scala globale, con un aumento del 70% nel periodo 2007-2017.
L’Italian Sounding è una pratica subdola che fuorvia i consumatori attribuendo una sorta di origine italiana o comunque di italianità a un prodotto del tutto privo di qualunque legame con il nostro Paese, attraverso nomi, marchi, colori e immagini che evocano in maniera sleale la filiera Made in Italy. Si tratta dunque di un fenomeno che impatta negativamente sulle nostre Imprese nazionali, le quali subiscono una concorrenza sleale perdendo potenziali quote di mercato.
Secondo le stime pubblicate nel 2019 in occasione della fiera di Anuga, i falsi prodotti alimentari presenti sul mercato generano guadagni doppi rispetto alla filiera italiana autentica. Le stime parlano di circa 43 miliardi di euro di fatturato attestando così che due prodotti agroalimentari su tre, venduti nel mondo, sono imitazioni.
Sempre ad Anuga, Federalimentare ha promosso l’iniziativa Authentic Italian check-point, un desk dedicato a fornire informazioni sul fenomeno dell’Italian Sounding e raccogliere le eventuali segnalazioni da parte degli operatori del settore presenti alla fiera, sensibilizzando l’intera filiera e gli stakeholder interessati sul fenomeno. Una pratica scorretta che non solo danneggia l’economia italiana e la filiera agroalimentare, ma che si ripercuote anche sull’indotto occupazionale con una perdita quantificata al 2019 in alcune centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Difendersi dall’Italian Sounding è strategico e necessario per consentire alle nostre Aziende di sviluppare il loro grande potenziale sui mercati esteri. Se infatti consideriamo l’intera filiera agroalimentare e i settori ad essa collegati (produzione, lavorazione, ristorazione ecc.), in Italia il valore economico prodotto è circa un quarto del PIL italiano con un controvalore pari a quasi 540 miliardi di euro senza contare le esportazioni sia nell’UE sia nel mondo che nel 2020, secondo i dati Istat, hanno generato entrate per 46,1 miliardi di euro di cui 39,1 miliardi di prodotti alimentari, bevande e tabacco, in crescita del +1,9% sul 2019.
La difesa dei prodotti italiani è prioritaria in quanto oltre ai danni economici e di immagine, l’Italian Sounding induce ingannevolmente i consumatori a credere di comprare e di mangiare un autentico prodotto made in Italy, mentre in realtà si trovano di fronte a generi alimentari privi delle regolari certificazioni di autenticità. Nella top ten degli alimenti italiani maggiormente contraffatti troviamo in testa il Parmigiano Reggiano, seguito dalla Mozzarella di Bufala e dal Prosecco. Ma anche Gorgonzola, Asiago, Pecorino, salami e prosciutti sono fra le “prede” di questo mercato sleale che trova la sua più ampia diffusione nei circuiti della grande distribuzione oltre confine a prezzi inferiori, rispetto all’autentico valore delle specialità certificate Made in Italy.
Da quando nel 2015 in occasione dell’Expo, Federalimentare per prima, chiese al Governo italiano la costituzione di un “Osservatorio permanente sull’Italian Sounding” molti passi in avanti sono stati fatti verso la conoscenza e il contrasto di questa pratica commerciale scorretta, ma è ancora lontana una vera risoluzione del problema che deve necessariamente passare dalle Istituzione Ue con la sottoscrizione di accordi bilaterali fra gli Stati membri e fra i Paesi extra Ue, soprattutto Stati Uniti, che dichiarino illegale la vendita e la commercializzazione dei prodotti Italian Sounding.