Dopo il caso Prosek l’agroalimentare italiano rischia ancora. Questa volta le preoccupazioni delle associazioni di categoria, delle filiere, dei produttori e degli organi di governo si stanno rivolgendo verso il comparto dell’olio extra vergine d’oliva che potrebbe essere “vittima” del Nutriscore.

L’Italia è il secondo produttore mondiale di olio extra vergine d’oliva e dai recenti dati Ismea la molitura del prossimo anno (2021-2022) potrebbe essere fra le migliori per la qualità del prodotto finito. Il forte rischio che però corre la filiera olivicola italiana è quella di veder etichettato come “cattivo” uno dei prodotti di eccellenza del made in Italy e alimento cardine della dieta Mediterranea considerata dal 2010 dall’Unesco, Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

A preoccupare maggiormente la filiera e i produttori è il Nutriscore. Attualmente questo sistema a scala di colori nutrizionali e alfabetici (da A a E) è adottato in Francia, Belgio e Svizzera e secondo i suoi parametri, calcolati su base esclusivamente nutrizionale e non sugli ingredienti, l’olio extra vergine d’oliva sarebbe un alimento da “limitare” assegnandogli la lettera C nella scala valoriale di riferimento. Con questo principio, e se il Nutriscore fosse introdotto in Italia, il consumatore potrebbe trovarsi nella condizione di vedere assegnata la lettera C all’olio extra vergine di oliva, poiché verrebbe considerato alimento dall’alto valore nutrizionale. Un paradosso alimentare che conferma come il Nutriscore applichi un mero algoritmo nutrizionale decontestualizzando il prodotto dagli ingredienti che lo compongono. 

Quanto sia contradditorio l’elemento classificatorio adottato dal Nutriscore, lo confermano i numeri pubblicati da Ismea relativi alla superficie SAU (Superficie Agricola Utilizzata) biologica del comparto olivicolo italiano. Ebbene a livello nazionale i territori a coltivazione biologica raggiungono da soli il 23,9% della superficie, ciò significa che il comparto è prossimo al raggiungimento della quota del 25% di territori coltivati a biologico così come indicato dall’Europa nella nuova Pac che ha previsto, la stessa quota di SAU biologica complessiva su base nazionale, entro il 2030. 

Da non trascurare i riconoscimenti Dop e Igp. Il comparto olivicolo italiano è leader in Europa con 49 prodotti al cronico deficit di produzione olivicolo attraverso il blending, la capacità sartoriale delle nostre imprese che, accostando oli di provenienza e cultivar diverse, sanno dare vita a prodotti dal gusto unico. È opportuno ricordare, infatti, che la nostra agricoltura è in grado di fornire, nelle annate migliori, circa 300mila tonnellate di olio d’oliva, a fronte di un fabbisogno, interno ed estero, pari ad 1 milione di tonnellate. 

Appare evidente che l’olio extra vergine d’oliva non può rischiare di essere classificata in modo così punitivo, attraverso etichettature discutibili, che non rispecchiano le proprietà organolettiche di un prodotto di assoluta eccellenza, emblema di quel corretto stile di vita conosciuto nel mondo grazie al Made in Italy.