NORME ITALIANE ED EUROPEE
L’Unione Europea ha segnato a lungo il passo sull’attuazione del Regolamento sull’etichettatura dei prodotti alimentari varato nel 2011 e nel frattempo, sulla scia della crescente richiesta di trasparenza in tema di etichettatura avanzata dai consumatori, alcuni Paesi comunitari, tra cui l’Italia, si sono dotati di normative nazionali che hanno portato a stringenti regolamentazioni sull’obbligo di indicare l’origine della materia prima in etichetta.
Le norme italiane, che prevedono l’obbligo di indicare l’origine in etichetta in latte e formaggi, pasta, riso e derivati pomodoro saranno anche rafforzate a partire dal 9 maggio dal nuovo decreto legislativo sulle sanzioni che prevede multe da 2 mila a 16 mila euro in caso di mancata indicazione dell’origine. Con l’arrivo della primavera, anche l’Europa si è risvegliata dal letargo in tema di regolamentazione dell’etichettatura e il 16 aprile scorso gli Stati membri della Ue a larga maggioranza- con l’eccezione della Germania e del Lussemburgo che si sono astenuti – hanno approvato il regolamento esecutivo (che richiama l’attuazione dell’articolo 26 del Regolamento 1169/2011) e che si applicherà a partire dal primo aprile 2020.
IL REGOLAMENTO ESECUTIVO
Cosa prevede la norma? I produttori saranno obbligati a fornire in etichetta le informazioni sull’origine, solo quando il luogo di provenienza dell’alimento è indicato – o anche semplicemente evocato – in etichetta e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario. Ad esempio: se un pacco di pasta lavorata in Italia riporta il tricolore dovrà indicare se l’origine del grano è estera, se cioè “l’ingrediente prevalente” proviene da altro paese. Così come un salume dovrà specificare l’origine della carne suina proviene dalla Germania o dalla Polonia se sulla confezione si fa riferimento con “segni, simboli” all’italianità del prodotto.
Il nuovo atto esecutivo della Commissione UE appare più flessibile rispetto alle disposizioni nazionali; oggi, ad esempio, su una confezione di spaghetti è sempre obbligatorio inserire l’indicazione di provenienza del grano, a prescindere se sul campo visuale principale dell’etichetta venga o meno evocato il Paese. Il nuovo regolamento risulta flessibile anche sulla portata geografica del riferimento all’origine (da “Ue/Non UE” fino all’individuazione del Paese o della regione).
Le nuove norme non si applicheranno ai prodotti Dop, Igp e Stg, né a quelli a marchio registrato che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. In questo modo però gli addetti ai lavori temono che si possa alimentare il rischio di Italian sounding (il falso cibo italiano). L’Europa ha quindi battuto l’atteso colpo sull’etichettatura d’origine ma si attendono ancora perfezionamenti che rendano il dispositivo più efficace e rispondente alle esigenze di tutti gli attori della filiera. “Osservatorio Alimentare” ha chiesto il parere di Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale dell’Europarlamento, su questo nuovo regolamento esecutivo.
I PARERI
«La consideriamo un’occasione persa. – ci ha detto De Castro – Noi abbiamo sempre chiesto un intervento europeo di armonizzazione sull’etichetta, siamo molto contenti che l’Europa metta mano a una legislazione unica per tutti i Paesi membri, per evitare che ci possano essere difficoltà all’interno del mercato unico, ma allo stesso tempo avremmo preferito che questa norma, che entrerà in vigore ad aprile 2020, potesse maggiormente raccogliere l’esperienza francese e italiana, soprattutto in materia di indicazione d’origine. Questo Regolamento di fatto obbliga gli Stati membri ad indicare l’origine della materia prima quando le etichette legano il prodotto a un certo territorio, una bandiera, il nome evocativo di una città. Limita quindi l’indicazione della materia prima solo nei casi in cui l’etichetta richiami un determinato territorio dell’Unione; in caso contrario l’indicazione di origine rimane volontaria».
«Noi – aggiunge De Castro – avremmo voluto una decisione simile a quella del Parlamento europeo che ha votato a larga maggioranza l’indicazione d’origine per l’ingrediente primario. Per fare un esempio, se si compra un barattolo di pomodoro, avremmo voluto che il consumatore sapesse se quel pomodoro è italiano, francese o cinese. Invece, secondo questo atto di esecuzione l’obbligo c’è solo se sul barattolo compare la fotografia del Vesuvio. Naturalmente questo è un primo passo vero una legislazione unica ed armonica, e come tale lo apprezziamo, ma occorrerà tornarci sopra e mi auguro che presto la Commissione possa mettere mano al Regolamento che dovrà essere aggiornato. E quello che spero è che lo aggiorneremo tenendo conto della volontà del Parlamento».
Anche Federalimentare apprezza questo passo verso l’armonizzazione europea delle regole in tema di etichettatura, e questo non solo nell’interesse delle imprese ma anche dei consumatori che non corrono il rischio di essere disorientati.
STABILIMENTO IN ETICHETTA
Intanto il 5 aprile scorso è scattato in Italia l’obbligo di indicare in etichetta la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento degli alimenti, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 145/2017. Anche questa “battaglia di trasparenza” è stata intrapresa volontariamente dall’Italia ma meglio sarebbe stato, sottolinea anche in questo caso Federalimentare, attendere regole comuni a livello europeo. Si propone infatti il rischio che qualsiasi imprenditore tedesco o francese con una semplice ragione sociale a qualsiasi titolo nel nostro Paese possa spacciarsi per italiano (senza obbligo di indicare la sede di produzione) con gravi danni per tutto il sistema agroalimentare nazionale.
Redazione